Il sostegno di Pechino alla richiesta di Maduro di convocare l’ONU sposta il baricentro del confronto tra USA e Venezuela sul terreno del diritto internazionale

DAZIBAO

DIC 18, 2025

Sei giorni fa la BBC prospettava un Venezuela isolato, privo di segnali da parte dei suoi due alleati storici, Cina e Russia. Nel suo articolo l’assenza quasi totale di contatti ufficiali e la mancanza di prese di posizione pubbliche facevano apparire il governo Maduro in un vicolo cieco, schiacciato dalla pressione americana senza più una rete diplomatica reale. 

L’argomento era supportato da un dato evidente: nessun movimento concreto da Pechino o da Mosca nella settimana in cui Washington aveva intensificato la strategia del blocco economico e politico. La crisi appariva come una rottura strutturale, con l’isolamento internazionale pronto a trasformarsi in crisi interna definitiva. Tuttavia, nelle ultime 48 ore si è verificato un cambio di scenario significativo. 

Prima una telefonata tra i ministri degli Esteri cinese e venezuelano, poi la presa di posizione pubblica di Pechino sulla richiesta di convocare una riunione d’emergenza del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

A questi elementi si aggiunge il contesto americano, con la prosecuzione del blocco imposto da Trump e una serie di dichiarazioni tese che hanno ridefinito il quadro diplomatico attorno a Caracas. Una sequenza rapida, che ribalta almeno in parte l’impressione di immobilismo rilevata una settimana fa.

Il contatto diretto tra Pechino e Caracas è stato riportato dal Global Times, che sottolinea come il ministro degli Esteri cinese abbia discusso telefonicamente con la controparte venezuelana della situazione interna del Paese caraibico. Il dettaglio sulla natura della telefonata è rilevante. 

Non si è trattato semplicemente di una comunicazione formale, ma di un confronto sui punti principali della crisi politica ed economica in corso, con una condivisione di informazioni su tensioni interne, sviluppi istituzionali e quadro della sicurezza. Per un Paese in difficoltà, la sola esistenza di un canale diplomatico diretto costituisce un segnale di speranza politica.

Sempre il Global Times ha diffuso una seconda informazione crucialePechino sostiene la richiesta venezuelana di convocare una riunione d’emergenza del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, in risposta all’inasprimento delle pressioni americane. Il dato non è secondario perché la Cina è membro permanente del Consiglio, dotato di potere di veto, e la sua posizione incide direttamente sulla dinamica istituzionale dell’ONU. In questa fase, il sostegno diplomatico pesa quasi quanto un sostegno militare. Caracas ottiene un appiglio geopolitico nel luogo in cui Washington struttura la propria strategia di pressione internazionale. La postura cinese non riguarda finanziamenti o prestiti, ma difesa politica in un’arena decisiva.

Il quadro delle relazioni si dipinge ulteriormente attraverso il racconto della Reuters, secondo cui Pechino ha espresso supporto politico al Venezuela proprio mentre gli Stati Uniti consolidano il blocco economico, energetico e commerciale. Reuters mette però in evidenza l’assenza di promesse finanziarie: Pechino conferma la sua linea storica di non-interferenza e opposizione alle sanzioni extraterritoriali, ma evita impegni diretti sul fronte economico. Un elemento coerente con la prudenza cinese osservata negli ultimi anni in America Latina, con investimenti mirati e poco politici.

All’opposto, Washington intensifica il linguaggio e l’azione. Gli Stati Uniti accusano Caracas di violare gli standard democratici e, attraverso il nuovo blocco, puntano a isolare economicamente il governo Maduro, restringendo l’accesso alle risorse e al credito internazionale. Qui si vede tutta l’irritazione cinese, con commenti che definiscono il blocco un atto di “bullismo”, dando voce al crescente scontro retorico tra Pechino e Washington sul terreno venezuelano. La pressione americana si muove inoltre nel contesto dei precedenti round sanzionatori, riconfigurati per colpire in modo selettivo le attività petrolifere e i settori collegati all’export di Maduro.

Il dettaglio della telefonata bilaterale tra Cina e Venezuela aiuta a decifrare il momento politico. È avvenuta in un clima in cui Caracas aveva bisogno di un segnale per rassicurare gli investitori e i partner economici regionali che osservano con attenzione la tenuta del governo Maduro. Le informazioni fornite dalla parte venezuelana sulla situazione interna indicano un confronto che non riguarda solo il posizionamento internazionale, ma anche fragilità economiche, capacità estrattiva e prospettive industriali nel mercato energetico globale. Un tessuto di informazioni che non sarebbe stato condiviso se la relazione tra i Paesi fosse effettivamente logorata.

Il blocco americano resta economicamente significativo, ma la risposta cinese sposta il baricentro del confronto sul terreno del diritto internazionale, opponendo il principio di sovranità nazionale alle misure coercitive.

L’evoluzione degli ultimi giorni mostra come il Venezuela non sia più nel quadro “statico”. Non siamo al ritorno del sostegno economico cinese degli anni precedenti al default venezuelano, né all’epoca delle grandi linee di credito denominate in petrolio. Ma non siamo nemmeno davanti a un disimpegno totale. Le mosse diplomatiche indicano un posizionamento meno rigido, più dinamico e, soprattutto, legato alla necessità cinese di mantenere influenza politica su uno degli snodi energetici storici della sua proiezione estera.

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