Un questionario dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza chiede agli studenti delle superiori di interrogarsi sulla loro eventuale posizione in caso di guerra. La campagna persuasiva del governo impatta una sistema scolastico già attraversato da processi di militarizzazione [Maria Izzo]
Nella attuale fase di attacco generalizzato alla scuola e di narrazione guerrafondaia si inserisce la campagna di preparazione alla guerra che oggi passa anche attraverso la campagna persuasiva che sta investendo la scuola attraverso vari interventi più genericamente descritti come militarizzazione delle scuole e in questi giorni anche attraverso la somministrazione di un questionario dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza (AGIA) sul tema “Guerra e Conflitti ” rivolto agli studenti tra i 14 e i 18 anni in cui si chiede agli stessi di interrogarsi sulla loro eventuale posizione in caso di guerra.
In particolare si chiede agli studenti di rispondere a domande tipo “tu andresti in guerra?” oppure “se il mio Paese entrasse in guerra mi sentirei responsabile e se servisse mi arruolerei” con l’intento non solo di misurarne l’opinione ma piuttosto di misurarne la risposta rispetto a temi come la guerra e la responsabilità personale e con l’obiettivo di normalizzare l’idea che arruolarsi “se serve” sia uno degli scenari possibili, quasi un criterio di maturità civica.
Questo momento è da collegare strettamente alla discussione che sta investendo in questa fase tutti i paesi europei, in particolare la Germania ma anche l’Italia, sulla leva obbligatoria o volontaria che viene presentata come occasione di crescita, disciplina, identità nazionale e su cui alcuni paesi hanno già dato risposte rilevanti attraverso mobilitazioni imponenti ,vedi le manifestazioni della Germania con lo Schulstreik ovvero lo sciopero della scuola contro il ritorno del servizio militare voluto dal governo Mertz che si è tenuto lo scorso 5 dicembre nelle stesse ore in cui i deputati si riunivano al Bundestag per approvare la nuova legge sulla leva e, per quanto riguarda l’Italia, la legge che prevede sei mesi obbligatori di servizio militare o civile per i giovani tra i 18 e 26 anni a cui si affianca il DDL , cui sta lavorando il ministro Crosetto ,per istituire la riserva militare volontaria di diecimila persone addestrate e richiamabili “in caso di necessità” .

La guerra, che la Costituzione nell’articolo 11 ci impone di ripudiare, rientra quindi nella discussione generale e soprattutto nell’immaginario collettivo attraverso i temi della sicurezza nazionale , dell’educazione civica ( quanti danni sotto questa voce da pochi anni introdotta nei programmi scolastici) ,della responsabilità individuale e collettiva, temi che nel sentire di un adolescente possono produrre qualche tipo di confusione soprattutto se la si presenta come un’opzione educativa, un indicatore di maturità, una rivendicazione di buona cittadinanza e tanto altro.
Come in tante altri momenti tocca alla scuola e quindi agli insegnanti saper rispondere e far sì che questo ennesimo attacco possa andare avanti e realizzarsi oppure cercare di fare muro opponendo alle invasioni barbariche cui siamo sottoposti da troppo tempo la logica del fare scuola che da sempre è quella della razionalità, della difesa del bene comune e della cittadinanza intesa come partecipazione alla promozione del bene comune e non come elemento di divisione, di frammentazione e di guerra.
Piuttosto che “cosa saresti disposto a fare in caso di guerra” “quanto sei disposto a fare pur di non arrivare mai ad una situazione come la guerra” è la domanda che dovremmo porre ai giovani per coinvolgerli nel tentativo di impedire l’avanzata di queste nuove forme di imbarbarimento e far comprendere che la normalizzazione della guerra significa accettare l’idea che la guerra sia un modo di convivenza tra i popoli alternativa alla pacifica convivenza e che il prezzo da pagare potrà significare generazioni rieducate alla violenza , risorse sempre di più sottratte al welfare e quindi al bene comune e un politica sempre più assuefatta alle logiche della morte
E su questo terreno che come organizzazione intendiamo mobilitarci attraverso una connessione sempre più radicale tra le battaglie pacifiste e antiimperialiste
Per il diritto di tutti a vivere in pace.
(A corredo dai risultati preliminari circa il 68% dei giovani non si arruolerebbe).
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