Trump intensifica le operazioni nei Caraibi e anche nel Pacifico, puntando a indebolire Maduro e riaffermare la posizione di Washington nel continente.

Da due mesi a questa parte si susseguono i bombardamenti statunitensi su imbarcazioni che navigano nelle acque caraibiche o del Pacifico e che Trump accusa di trasportare negli Stati Uniti droga proveniente dal Venezuela e dalla Colombia. Lo scorso primo novembre si è verificato il sedicesimo attacco di questo tipo nel Mar dei Caraibi, col saldo di altre tre persone assassinate. Un atto che il quotidiano americano Washington Post non esita a definire di vera e propria pirateria. Si tratta, infatti, di azioni extragiudiziali, compiute in barba alle regole internazionali e mai portate in discussione al Congresso americano. Hanno fin qui prodotto almeno 64 vittime, mentre tre persone sono riuscite a sopravvivere alla distruzione delle loro lance: si tratta di un colombiano e un ecuadoriano che sono stati messi in libertà appena rimpatriati nei loro rispettivi paesi, per mancanza di prove a loro carico e di un terzo uomo inizialmente disperso, di cui non si conosce la nazionalità e delle cui ricerche si è incaricato il Messico.

La scorsa settimana il Wall Street Journal e il Miami Herald hanno avanzato l’ipotesi di un attacco imminente degli Stati Uniti sul territorio venezuelano: secondo i due quotidiani americani, infatti, l’amministrazione Trump avrebbe già identificato gli obiettivi da colpire in Venezuela, attraverso una probabile campagna aerea. Il presidente americano, ai giornalisti che lo accompagnavano in viaggio sull’Air Force One, ha assicurato di non avere ancora deciso nulla a questo proposito. In un’intervista emessa domenica sera dalla CBS, si è quindi rifiutato di svelare i propri piani. L’attacco al Venezuela è una possibilità suffragata da diversi segnali, come l’ammodernamento della base navale Roosevelt Roads a Puerto Rico, chiusa da oltre vent’anni, segnalato dall’agenzia Reuters, e l’autorizzazione data alla Cia di azioni segrete sul territorio venezuelano, confermata dallo stesso presidente. D’altronde, dicono gli esperti, il dispiegamento militare accumulato nell’area dall’inizio di settembre, con in più l’arrivo imminente nei Caraibi della Gerald Ford, la principale e più moderna portaerei della flotta statunitense, se appare insufficiente per un’invasione terrestre del Venezuela, risulta però eccessivo per limitarsi a bombardare le sole imbarcazioni.

Sembra improvvisamente di essere ripiombati in un’epoca che si credeva superata da oltre 35 anni: quella in cui gli Stati Uniti consideravano il continente latino-americano il proprio cortile di casa e intervenivano militarmente nelle contese politiche interne ai paesi dell’area.   

Non è stata sempre questa l’attitudine di Trump nei confronti del Venezuela. All’inizio del suo secondo mandato, anzi, si erano mantenuti contatti tra la Casa Bianca e il paese sudamericano, pur con differenze di vedute nell’intorno del presidente. Poi, una volta che le organizzazioni venezuelane Tren de Aragua e il Cartel de los Soles sono state designate come terroriste e Nicolás Maduro indicato come capo del narcotraffico, è prevalsa la posizione più antichavista del segretario di Stato Marco Rubio. Gli Stati Uniti hanno quindi deciso di interrompere qualsiasi contatto diplomatico col paese caraibico in piena escalation militare. Anche per venire incontro a quella parte dell’opposizione che chiede esplicitamente il rovesciamento di Maduro, dopo che quest’ultimo si è attribuito il successo nelle elezioni del 2024 senza però mai fornire i dati ufficiali.

Trump parla di guerra al mercato del narcotraffico, ma è abbastanza evidente che l’obiettivo vada oltre la lotta alla droga, dal momento che il “corridoio caraibico” nel mirino del presidente americano rappresenta appena l’8% del traffico degli stupefacenti, passando l’80% piuttosto per le acque del Pacifico. Che il vero scopo della campagna sia scalzare Maduro dalla guida del Venezuela e potere approfittare a buon mercato delle risorse del paese, prima tra tutte il petrolio, è dimostrato anche dalla taglia di 50 milioni di dollari posta dagli Stati Uniti sul presidente venezuelano, offerta a chi offra informazioni che ne permettano la cattura. Da parte sua, Maduro avverte che possiede 5.000 missili di difesa antiaerea, chiama alla mobilitazione popolare contro un possibile intervento americano e chiede aiuto alla Russia, alla Cina e all’Iran. Così che i Caraibi rischiano di diventare un nuovo inedito palcoscenico per il confronto tra Donald Trump e Vladimir Putin.   

In un paio di occasioni, gli Stati Uniti hanno bombardato imbarcazioni che navigavano nel Pacifico con equipaggi colombiani, approfondendo così il conflitto con il presidente Gustavo Petro. Trump ha indicato anche lui come capo del narcotraffico, nonostante il leader colombiano si fosse proposto di realizzare durante il suo mandato la Paz total, un progetto che avrebbe dovuto riguardare anche le bande criminali e mettere fine alla guerra sporca che ancora percorre il paese. Petro ha però deciso di volgere a suo favore il conflitto col presidente americano, facendo come Lula in Brasile, ossia dimostrandosi fermo nei confronti delle minacce di Trump e orgoglioso dell’autonomia del proprio paese. Un atteggiamento che i colombiani sembrano apprezzare e che risulta una mossa indovinata in vista delle prossime presidenziali per lo schieramento che Petro rappresenta.

L’ultima ingerenza militare degli Stati Uniti in un paese sudamericano fu nel 1989 a Panama, ma non meno noti sono gli interventi armati o della Cia realizzati nel secolo scorso, specie durante la Guerra Fredda, in quella che all’epoca era definita lotta al comunismo. Per Trump, il dominio economico e politico dell’area latino-americana torna ora a essere strategico. Tenuta sotto scacco l’Argentina per almeno altri due anni, il controllo statunitense vuole spostarsi sul resto dei paesi, ricchi di risorse naturali, su cui sta facendo presa l’abilità commerciale della Cina. La chiamano geopolitica ma è la stessa politica di sempre, anche solo sotto forma di minaccia.

Elena Marisol Brandolini

da: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/trump-e-il-venezuela-maduro-nel-mirino-222390


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