Sconfortanti, ma lucide considerazioni del direttore di Limes, ormai senza più nessuna fiducia nei governi.
La grande ipocrisia dello Stato palestinese deve finire prima che muoia l’ultimo palestinese. Eppure di fronte allo sterminio dei gaziani per mano israeliana alcuni governanti non solo europei sanno solo ripetere il ritornello “due popoli due Stati”. Arrivando a “riconoscere” lo Stato che non c’è né può esserci mentre quello che c’è s’industria a massacrarne il popolo minando ragioni e fondamenta della sua stessa esistenza. È lecito domandarsi se costoro siano in buona fede oppure no. Nel primo caso, vivono in un loro mondo. Nel secondo, il loro cinismo non ha confini. Poco importa.
Conta invece ricordare a noi stessi – tutti noi, perché di innocenti qui proprio non ce ne sono – che la vita ha sempre precedenza sulla terra. In chiaro: se per decreto divino sorgesse in futuro una Palestina sovrana accanto a un altrettanto sovrano Israele, quanti superstiti delle stragi o loro figli e nipoti potrebbero abitarvi? Quale miracolosa terapia consentirebbe a vittime e carnefici di trattarsi da buoni vicini?
Il segno dei tempi è la rimozione della realtà. Surrogata da narrazioni autistiche. Incapaci di considerare i punti di vista altrui. L’altro non esiste o scade a nemico permanente. Da persona a essenza. Il conflitto fra arabi palestinesi ed ebrei israeliani è ormai meccanico. Inumano. Sfigurato da fanatismi irreligiosi in lizza per spezzoni di terra insanguinata. Così si va dritti alla soluzione finale secondo Netanyahu: noi o loro. Illusione: sarà loro e noi. I vinti palestinesi e gli israeliani “vincitori”, barricati nel piccolo Grande Israele allargato a Gaza e Cisgiordania più coriandoli di Siria e Libano. Giungla nella giungla. Stato paria circondato da vicini tanto più vendicativi quanto più umiliati. Molto peggio: popolo inversamente eletto perché bollato genocida. Triste deriva del sionismo. Da rifugio per l’ebreo perseguitato a sua nemesi.
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