di Michael Löwy

Nato in una famiglia di artigiani poveri, Thomas Müntzer studiò teologia e fu ordinato sacerdote, ma nel 1519 si unì a Lutero. Poco dopo, nel 1521, redasse il Manifesto di Praga, un appello alla rivolta contro «la puttana di Babilonia», la Chiesa di Roma. Tuttavia, ben presto criticò Lutero per la sua collusione con i potenti. Nel 1524 pronuncia il Sermone ai Principi, in cui attacca con veemenza l’autorità della Chiesa e dell’Impero. Associandosi al movimento contadino anabattista, predica il ripristino della Chiesa apostolica, con la violenza se necessario, per poter preparare il più rapidamente possibile il regno di Cristo. Thomas Müntzer e il suo gruppo presero il potere nel febbraio 1525 a Mühlhausen in Turingia, dove instaurarono una sorta di potere rivoluzionario radicale ed egualitario, alleato alla rivolta dei contadini.
Il capo dei contadini sediziosi
Fu un mistico e millenarista, ispirato dalla dottrina medievale della «Terza Età» di Gioacchino da Fiore. La “Terza Età” è concepita come un’epoca futura segnata dalla venuta dello Spirito Santo, successiva all’Età del Padre, descritta nell’Antico Testamento, e all’Età del Figlio, corrispondente alla Chiesa di Cristo. Sarà un’epoca di libertà spirituale, senza gerarchie, dove tutti avranno accesso diretto a Dio. Gioacchino vede una società pacifica guidata dall’amore.
Müntzer è anche un rivoluzionario che denuncia il potere dei ricchi e la complicità di Lutero con i principi. Come gli anabattisti, chiede ai suoi seguaci di praticare il battesimo degli adulti. Nella tradizione apocalittica, annuncia l’imminenza della Fine dei Tempi e del Giudizio. Nei suoi sermoni a Wittenberg (1523), cerca di sollevare gli artigiani e i contadini contro i principi regnanti e i poteri ecclesiastici.
Deciso a partecipare alla rivolta contadina, nel maggio 1525 Thomas Müntzer prese il comando di un esercito di settemila soldati contadini che si preparava a combattere i principi a Frankenhausen. La battaglia ebbe luogo il 15 maggio: mal equipaggiati e inesperti, i contadini furono massacrati dagli eserciti dei principi composti da mercenari professionisti pesantemente armati e dotati di cannoni. Ferito, Müntzer viene catturato in una casa di Frankenhausen dove si era rifugiato. Dopo essere stato torturato, viene decapitato a Mühlhausen (Turingia) davanti a un pubblico di rappresentanti dell’alta nobiltà. Per ammonire il popolo, la sua testa impalata viene esposta sulle mura della città.
Un’iscrizione murale nella città di Heldrungen lo stigmatizza come archifanaticus patronus et capitaneus seditiosorum rusticorum: un omaggio involontario…
Un profeta rivoluzionario
Fin dal XIX secolo, i socialisti tedeschi hanno trovato nella guerra dei contadini del XVI secolo e nella figura di Thomas Müntzer una fonte di ispirazione e un precedente storico fondamentale.
È il caso in particolare di Friedrich Engels, che dedicherà loro uno dei suoi principali – se non il più importante – studi storici: il libro The Peasants’ War in Germany (La guerra dei contadini, 1850). Il suo interesse, la sua stessa fascinazione, deriva probabilmente dal fatto che questa rivolta era l’unica tradizione propriamente rivoluzionaria nella storia tedesca. Analizzando la Riforma protestante e la crisi religiosa di fine secolo in Germania in termini di lotta di classe, Engels distingue tre schieramenti che si affrontano su un campo di battaglia politico-religioso: lo schieramento conservatore cattolico, composto dal potere dell’Impero, dai prelati e da una parte dei principi, dalla nobiltà ricca e dal patriziato delle città; il partito della Riforma luterana borghese moderata, che raggruppava gli elementi possidenti dell’opposizione, la massa della piccola nobiltà, la borghesia e persino una parte dei principi, che speravano di arricchirsi con la confisca dei beni della Chiesa. Infine, i contadini e i plebei costituivano un partito rivoluzionario, «le cui rivendicazioni e dottrine furono espresse in modo più chiaro da Thomas Müntzer» come dice Engels nel volume citato.
Questa analisi degli scontri religiosi attraverso la griglia delle classi sociali antagoniste è notevole, anche se Engels sembra considerare la religione solo come una «maschera», una «copertura» (Decke) dietro la quale si nascondono «gli interessi, i bisogni e le rivendicazioni delle diverse classi». Nel caso di Müntzer, egli sostiene che questi «nascondeva» le sue convinzioni rivoluzionarie sotto una «fraseologia cristiana» o sotto una «maschera biblica»; se si rivolgeva al popolo «nel linguaggio del profetismo religioso», era perché questo era «l’unico che fosse in grado di comprendere all’epoca». La dimensione specificamente religiosa del millenarismo müntzeriano, la sua forza spirituale e morale, la sua profondità mistica autenticamente vissuta, sono assenti da questo approccio.
Allo stesso tempo, non nasconde la sua ammirazione per la figura del profeta “chiliastico” (il riferimento è alla dottrina religiosa del “chiliasmo” in cui gli eletti vivono in paradiso per mille anni dopo il Giudizio Universale), di cui descrive le idee come «quasi comuniste» e «religiose rivoluzionarie». E Engels scrive:
La sua dottrina politica si ricollegava esattamente a questa concezione religiosa rivoluzionaria e superava i rapporti sociali e politici esistenti tanto quanto la sua teologia superava le concezioni religiose dell’epoca. […] Questo programma, che non era tanto una sintesi delle rivendicazioni dei plebei dell’epoca ma piuttosto una geniale anticipazione delle condizioni di emancipazione degli elementi proletari in germe tra questi plebei, esigeva l’immediata instaurazione sulla terra del regno di Dio, del millennio dei profeti, attraverso il ritorno della Chiesa alle sue origini e l’abolizione di tutte le istituzioni in contraddizione con questa Chiesa apparentemente primitiva, ma in realtà del tutto nuova. Per Müntzer, il regno di Dio non era altro che una società in cui non ci sarebbero più state differenze di classe, proprietà privata, potere statale autonomo, estraneo ai membri della società.
Ciò che viene suggerito in questo sorprendente paragrafo non è solo la funzione di protesta e persino rivoluzionaria di un movimento religioso, ma anche la sua dimensione anticipatrice, la sua funzione utopica. Siamo qui agli antipodi della teoria del «riflesso»: lungi dall’essere la semplice «espressione» delle condizioni esistenti, la dottrina politico-religiosa di Müntzer appare come una «geniale anticipazione»delle aspirazioni comuniste del futuro. In questo testo si trova una nuova pista, che non viene esplorata da Engels, ma che sarà successivamente approfondita da Ernst Bloch, dal suo saggio giovanile su Thomas Müntzer fino alla sua opera magnum sul Principio Speranza.
Per una valutazione sobria ed equa del contributo di Engels allo studio socio-storico della Riforma, si può fare riferimento alla prefazione di Leonard Kriegerall’edizione inglese del libro (1967):
Il legame tra le sette radicali e le classi “plebee-contadine” – il legame che ha permesso a Engels le sue analisi storiche più penetranti – rimane l’unica relazione precisa che è stata accettata dagli storici di entrambi i lati della linea di divisione marxista. In generale, tuttavia, anche se la priorità attribuita da Engels agli interessi sociali e la sua correlazione univoca delle altre confessioni religiose con le classi sociali non ha avuto un tale consenso, l’importanza della dimensione sociale per i conflitti religiosi dell’era della Riforma non è messa in dubbio, e la scoperta del modo in cui questa relazione ha potuto funzionare rimane una delle questioni aperte per la storiografia europea.
Quasi comunista
Quasi un secolo dopo, nel 192, il giovane Ernst Blochpubblicò il suo Thomas Müntzer, teologo della rivoluzione, un omaggio entusiastico, da parte di un marxista libertario, al capo degli anabattisti e un’analisi dettagliata delle sue proclamazioni. La dimensione apocalittica del discorso di Müntzer è evidenziata con ammirazione:
Qui non si combatteva per tempi migliori, ma per la fine di tutti i tempi: propriamente parlando, in una propaganda apocalittica dell’azione. Non per superare le difficoltà terrene in una civiltà eudemonista, ma per […] l’irruzione del Regno.
In un’interpretazione di stampo anarchico, Bloch percepisce la dottrina di Müntzer e degli anabattisti come una negazione dell’autorità dello stato e di ogni legge imposta dall’esterno, «anticipando quasi Bakunin». Müntzer predica «una repubblica mistica e universale» e persino «qualcosa di ancora più profondo: una completa comunità di beni, il ritorno alle origini cristiane, il rifiuto di ogni autorità pubblica».
Per Bloch, Müntzer è agli antipodi della divinizzazione luterana dello stato e del «capitalismo come religione» di Calvino. Descrive il suo appello del 1525 ai minatori come una «dichiarazione di guerra alle case di Baal», e persino come «il più appassionato, il più furioso manifesto rivoluzionario di tutti i tempi» – purtroppo senza grandi risultati.
Poco dopo, a Frankenhausen, «l’esercito rivoluzionario e messianico» dei contadini, mal armato – privo di artiglieria e polvere da sparo – e senza uno stato maggiore esperto, ispirato ma non comandato da Müntzer, fu sterminato dai signori.
Ernst Bloch vede Thomas Müntzer come un momento cruciale della storia sotterranea della rivoluzione, che va dai Catari, dai Valdesi e dagli Albigesi a Rousseau, Weitling e Tolstoj: un’immensa tradizione che vuole «porre fine alla paura, allo stato, a ogni potere disumano».
Chi sarebbero oggi gli eredi di Thomas Müntzer e di questa storia sotterranea? Ernst Bloch evoca Karl Liebknecht e Lenin e, nella conclusione del suo saggio, auspica un’alleanza «tra il marxismo e il sogno dell’incondizionato […] nello stesso piano d’azione». Il saggio di Bloch fu scritto nel 1921, in un momento in cui la rivoluzione in Germania sembrava ancora possibile. Da qui la sorprendente conclusione del libro:
Alto sulle rovine di una civiltà distrutta, ecco che si erge lo spirito dell’utopia indelebile.
Scopri di più da Brescia Anticapitalista
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.