Lavoravano in tre su un cestello montato su una impalcatura che li aveva portati a 20 metri di quota per riparare il cornicione di un palazzo. Quando il cestello si è ribaltato li ha scaraventati giù, al suolo senza possibilità di scampo. Non hanno avuto il tempo nemmeno di aggrapparsi a qualche sostegno. La causa della rottura del sostegno sembra essere un bullone che ha ceduto ma si tratta di ben altro.

I tre avevano 53 (qualcuno dice addirittura 56), 61 e 66 anni di età ed è questa la prima causa di morte: in media dopo i trent’anni la forza fisica inizia a diminuire e a quarant’anni si dimezza e non si può lavorare in sicurezza a queste età. Nello stesso giorno è morto a Brescia un operaio di 69 anni, schiacciato da un muletto. Il mezzo che serve a scaricare legna gli è stato fatale: gli si è rovesciato addosso.

Alla causa dell’età si aggiunge il fatto che i tre di Napoli non avevano né caschi né imbracature che potessero in qualche modo sostenerli in caso di guasto improvviso. Perfino un osservatore inesperto guardando le foto si rende conto che, anche col cestello rovesciato, se i tre fossero stati “legati”, agganciati alla struttura si potevano salvare.

I sindacati si sono arrabbiati, ci dice il giornale La Stampa e gli esponenti della Cisl chiedono più controlli, dialogo costante tra istituzioni e sindacato – secondo Melicia Comberati – ma noi ci chiediamo cosa vorrà mai dire questo dialogo. Seguono affermazioni la cui ovvietà indispettisce: “Piaga inaccettabile”, “…è una tragedia per le famiglie”, “…chi entra in cantiere per lavorare deve uscirne vivo”. Infine il sindaco di Napoli che ha parlato di “strage silenziosa” – dal suo ufficio non ha sentito alcun grido, rumori, pianti, … niente!

Senonchè nemmeno la posizione lavorativa dei tre è chiara e chi sa se qualcuno di loro non fosse “a nero”. Gli inquirenti della Procura dovranno vagliare se i lavoratori avessero caschi e imbracature – quest’ultime decisive per la loro salvezza – ma c’è poco da indagare: nessuno dei tre era agganciato al cestello. Nemmeno le misure minime, gli avvisi di cantiere in corso, ad esempio, erano presenti sulla scena. Sulla scena era presente il profitto, l’aura dei padroncini, il mondo dell’impresa, quello che bisogna sostenere perché dà lavoro in cambio di vita.

La Procura ha aperto un’inchiesta e troverà il perno colpevole del reato di omicidio colposo ma non è così: l’assassino è stato il profitto del capitale, non è stato il perno.

da: https://pungolorosso.com/2025/07/26/causa-di-morte-lavoro/

Le immagine qui sopra, che riprendiamo dalla pagina Facebook “Morti di lavoro”, mostra chiaramente che il crollo è dovuto al cedimento di uno dei tralicci metallici lungo i quali si muoveva il cestello. Cedimento avvenuto quando i tre operai erano quasi arrivati sul tetto dello stabile, dove stavano sostituendo la guaina impermeabilizzante. Non è ancora stato chiarito se il crollo sia stato dovuto al peso eccessivo (le vittime avevano con sé anche pesanti rotoli di guaina bituminosa) oppure a un errore nel montaggio del montacarichi, come ipotizzato dal segretario Fillea Cgil Napoli, che ha detto a Repubblica: “Dalle foto che ho visto e scattato personalmente pare che l’impalcatura fosse montata male. Inoltre gli operai non avevano imbracatura né ancoraggio al cestello”.

Il procuratore aggiunto di Napoli Antonio Ricci ha iscritto quattro nomi nel registro degli indagati. Oltre alle evidenti violazioni delle norme sulla sicurezza, quali l’assenza dei dispositivi di protezione previsti, è stato riscontrato che due delle tre vittime non erano regolarmente assunte dalla ditta edile, anzi, una di esse (Luigi Romano) era in pensione da quasi un anno e sarebbe stata presente sul montacarichi “solo per fare un favore a un amico”.

La strage dunque continua e, come drammaticamente prevedibile, a nulla è servita la geniale invenzione della “patente a punti” ideata dalla ministra del lavoro (consulente aziendale nella vita, ex presidente dell’Ordine dei consulenti aziendali, carica passata al marito per evidenti incompatibilità) Marina Elvira Calderone. La patente a punti avrebbe dovuto “abbattere le morti degli operai nei cantieri”, ad oggi, da gennaio a fine luglio 2025 le vittime nell’edilizia sono già 115. Evidentemente, padroni e padroncini dell’edilizia se ne sbattono allegramente dei punti sulla loro patente e gli ispettori del lavoro che dovrebbero svolgere il lavoro di prevenzione restano sempre drammaticamente e vergognosamente insufficienti. D’altra parte, l’ineffabile ministra, dopo la notizia della triplice morte, si è limitata ad affermare alla stampa: “Sono addolorata, stiamo cercando di avere tutte le informazioni del caso, sul posto ci sono già gli ispettori del lavoro e i carabinieri”.

Peraltro, il comportamento di padroni e padroncini dell’edilizia o di altri settori può essere efficacemente raccontato ad esempio attraverso la vicenda di Nicolò Giacalone (nella foto qui a destra), dipendente della Sud Marmi di Custonaci (Trapani), allora sposato da sette mesi e morto esattamente tre anni fa, il 20 luglio 2022, cinque giorni prima del suo trentatreesimo compleanno, quando gli fu ordinato di raggiungere con un’autogru la casa del suo “datore di lavoro” Vito Pellegrino, presidente di Sicindustria Trapani. Durante il tragitto, per un guasto ai freni dell’autogru, Nicolò ne perse il controllo e si ribaltò fuori strada , sfondando il guardrail. Nicolò morì intrappolato tra le lamiere della cabina di guida. Da notare che quel mezzo non poteva circolare su strada e che Nicolò non aveva il patentino né la formazione per condurlo, essendo stato assunto come manovale non qualificato, addetto agli imballaggi. E non solo, il medico del lavoro aveva certificato che Nicolò “non poteva essere abilitato a lavori in altezza, guida mezzi meccanici e/o apparecchiatura per movimentazione carichi”, a causa di una ciste aracnoidea cranica per la quale era stato operato all’età di 18 anni. 

Il 24 gennaio 2024 Vito Pellegrino patteggiò 20 mesi di reclusione per omicidio colposo e violazione delle norme per la sicurezza sul lavoro (la sentenza specifica “per colpa consistita in imprudenza, imperizia, negligenza, nonché per le plurime inosservanze delle […] norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, colposamente cagionava la morte di Giacalone Nicolò, operaio”), compresa l’omessa nomina di un RLS. Per gli stessi reati il responsabile del cantiere, Vincenzo Miceli, è stato condannato a 16 mesi. Pene tenui per entrambi, come accade quasi sempre nei tribunali italiani quando trattano di morti sul lavoro, corredate dalla consueta sospensione della pena. L’unica vera conseguenza Vito Pellegrino l’ha subita quando, in seguito alla condanna ma con sette mesi di ritardo, ha dovuto dimettersi dalla presidenza di Sicindustria, 

Per Pellegrino però non poteva finire così. Mosso da chissà cosa, ha denunciato per diffamazione aggravata la madre di Nicolò, Donatella Di Pietra, rea di aver raccontato la vicenda sui social chiedendo giustizia per il figlio. La sfacciataggine di persone come questo padrone è vergognosa. E non solo, l’avvocato di Pellegrino si è anche opposto alla richiesta di archiviazione avanzata dalla procura. Così, il prossimo 17 settembre, la mamma di Nicolò dovrà comparire davanti a un magistrato. Donatella rischia una pena doppia rispetto a quella patteggiata dal responsabile della morte del figlio.

Anche questa notizia di vera e propria miseria umana, di un condannato che querela la madre della vittima (che poi è l’esatta radiografia della considerazione in cui le aziende e la giustizia tengono la salute e la sicurezza dei lavoratori), l’abbiamo tratta dalla pagina Facebook “Morti di lavoro” gestita da Piero Santonastaso. In quella stessa pagina Donatella ringrazia Piero, ricordando di essere già stata punita pesantemente, perché per “le condanne ridicole ai colpevoli, i nostri figli muoiono 2 volte”


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