Riprendiamo dalla pagina facebook di Jacques Chastaing, su segnalazione di Paolo B., una documentazione fotografica (molto parziale) relativa al grande sciopero generale (Bharat Bandh) che si è tenuto mercoledì scorso 9 luglio in India, convocato dalle dieci principali centrali sindacali del paese (Indian National Trade Union Congress, All India Trade Union Congress, Hind Mazdoor Sabha, Centre of Indian Trade Unions, All India United Trade Union Centre, Trade Union Coordination Centre, Self Employees Women’s Association, All India Central Council of Trade Unions, Labour Progressive Federation, United Trade Union Congress).

La previsione sindacale, nei giorni immediatamente precedenti, era che avrebbero partecipato allo sciopero 250 milioni di lavoratori e lavoratrici – non siamo in grado di convalidare o meno questa cifra, che ci appare piuttosto propagandistica. Ma, analizzando la stampa indiana, abbiamo notato che il solo argomento portato dai dirigenti del partito nazionalista hindu al governo, il Bharatiya Janata Party (BJP), per minimizzare le adesioni allo sciopero è che i negozi e il commercio non ne abbiano risentito. Senonché lo sciopero puntava su altri settori: le miniere, l’industria del carbone e dell’acciaio, l’edilizia, i trasporti pubblici, le ferrovie, l’elettricità, l’agricoltura (sia i braccianti che gli agricoltori), il settore bancario, alcuni servizi pubblici (non la scuola), e in tutti i casi varie fonti registrano un’adesione massiccia. Di sicuro impressionante è il protagonismo femminile, la grande massa di operaie e proletarie presenti e attive nelle manifestazioni che si sono tenute in tutte le capitali dei singoli stati – l’India è una repubblica federale con trenta stati (*) – e nei maggiori centri industriali. 

La stessa stampa governativa riconosce che nel Bengala (occidentale), nel Kerala, nella capitale del Karnataka Bengalore, a Shimla, la capitale dell’Hichamal Pradesh, lo sciopero ha prodotto il “caos”, cioè il fermo totale delle attività produttive e dei servizi, a cui oppone, lodandola, la calma (relativa) di Delhi. In alcune città ci sono stati blocchi di strade e autostrade, mentre in casi sporadici (come nel Bengala) la polizia è intervenuta contro i settori più di sinistra dei cortei.

La piattaforma dello sciopero (in 17 punti) era centrata sulla critica delle ultime quattro leggi in materia di rapporti di lavoro varate dal governo Modi (al potere dal 2014) che “minano la contrattazione collettiva, portano all’allungamento degli orari di lavoro, pongono ostacoli alla formazione dei sindacati e agli scioperi di solidarietà, e depenalizzano le violazioni delle leggi sul lavoro compiute dai padroni”. L’altro tema della giornata di sciopero era il no alle privatizzazioni previste su larga scala nel settore pubblico (anche in campo bancario) e alla restrizione degli organici nelle pubbliche amministrazioni per i mancati rimpiazzi dei pensionati – nelle ferrovie, nel settore educativo e nelle acciaierie, denunciano i sindacati, i rimpiazzi parziali si fanno assumendo… pensionati. La contestazione riguardava anche le nuove regole sulle pensioni, la rivendicazione di un minimo pensionistico (90 euro mensili circa) e di un salario minimo (260 euro mensili circa), dal momento che i salari non tengono il ritmo dell’inflazione. In alcuni stati (nel Bihar, ad esempio) i dimostranti hanno attaccato anche le norme contro gli immigrati.

Lo sfondo è quello di un paese in crescita economica, ma con prezzi dei beni di prima necessità che salgono di continuo, salari che perdono potere d’acquisto, un tasso di disoccupazione superiore al 30% (il livello più alto degli ultimi 45 anni), un’area di occupazione informale gigantesca, una polarizzazione sociale tra le più acute del mondo, e un governo schierato in modo aggressivo dalla parte delle grandi imprese e dei capitali globali interessati ad investire in India. Un governo che da dieci anni ha sospeso ogni rapporto con le centrali sindacali, e procede a rullo compressore a creare un nuovo diritto del lavoro che restringe i diritti dei lavoratori e smantella passo dopo passo quel tanto (piuttosto poco) di “welfare state” esistito fino a pochi anni fa. Ovviamente il Partito del congresso, che è all’opposizione, ha cavalcato – benché con particolare moderazione – questo grande sciopero, così come (con più decisione) i vari partiti comunisti (di nome).

Si tratta del quarto sciopero generale negli ultimi 5 anni. I precedenti sono avvenuti il 26 novembre 2020, il 28-29 marzo 2022, il 16 febbraio 2023, ed in tutti i casi si erano registrate forti adesioni. Ecco: se c’è qualcosa da rilevare è che queste iniziative hanno ancora troppo la forma di azioni di pressione, certamente molto massicce e spesso altrettanto calde, ma senza mai assumere il tono da aut-aut nei confronti del vero e proprio regime che il BJP di Modi sta edificando. Tuttavia noi internazionalisti guardiamo con fiducia alla classe operaia e al proletariato dell’India e – più in generale – dell’Asia, la cui forza materiale continua a crescere. E ci aspettiamo dall’una e dall’altro grandi cose, per la nostra causa. Siamo dei loro fan. Lasciamo molto volentieri ad altri la funzione di galoppini, a libro paga o meno, dei BRICS, cioè della rapace borghesia capitalistica indiana contro cui si è tenuto lo sciopero generale del 9 luglio scorso.

(*) Andhra Pradesh · Arunachal Pradesh · Assam · Bihar · Chhattisgarh · Goa · Gujarat · Haryana · Himachal Pradesh · Jharkhand · Karnataka · Kerala · Madhya Pradesh · Maharashtra · Manipur · Meghalaya · Mizoram · Nagaland · Orissa · Punjab · Rajasthan · Sikkim · Tamil Nadu · Tripura · Uttarakhand · Uttar Pradesh · Bengala Occidentale

Qui di seguito, foto delle manifestazioni in Maharashtra, Tamil Nadu, Karnataka (Bengalore), Andhra Pradesh (Guntur), Calcutta e Gujarat – tanto per avere un’idea, e vedere ‘qualcosa’ che non si vede da nessuna parte.


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