Quel che succede nell’UE è un vero salto di paradigma preparato da 25 anni in cui i governi di centro destra e centro sinistra hanno imposto le ferree leggi del capitale. Ora si deve costruire il movimento contro la guerra nelle forme più ampie possibili. Dovrà esserci in autunno una grande capacità di lotta unitaria e convergente per affrontare le scelte sociali e economiche del governo nel varo della finanziaria. Sarà una lotta molto dura [Franco Turigliatto]

Dobbiamo ormai guardare la cartina di Europa con degli occhi diversi. I colori diventano sempre più cupi dove al nero delle politiche liberiste di austerità che da oltre 20 anni hanno massacrato e scomposto la società civile e le classi lavoratrici si aggiunge ora il nero delle bombe e degli elmetti e le divise mimetiche e grigio verdi delle truppe e degli eserciti da costruire o da incrementare.

Quel che succede nell’Unione Europea è un vero salto di paradigma, certo preparato da 25 anni in cui i governi di centro destra e centro sinistra hanno imposto le ferree leggi del capitale, colpito i salari e le pensioni, precarizzato il lavoro, più che dimezzato il welfare, strozzata la Grecia che minacciava di ribellarsi, garantito in periodo di latente e persistente crisi del sistema economico, profitti senza precedenti alle multinazionali, alle banche e tutti gli enti padronali che ne hanno segnato il trionfo e la conseguente sconfitta della classe operaia.

Non hanno risolto nessuno dei problemi di fondo e delle contraddizioni insite nel sistema, ma oggi la classe dominante, che si fa sempre meno scrupoli ad utilizzare le forze dell’estrema destra, ha deciso di fare un ulteriore salto in avanti, grazie alle pesanti sconfitte inflitte all’organizzazione e alle capacità di resistenza della classe lavoratrice, per altro privata dai suoi dirigenti da tempo di un progetto alternativo di società. E’ bene ricordare un insegnamento della storia: la classe borghese per condurre una politica di riarmo e fare le guerre deve prima sconfiggere il nemico interno, quella classe sociale che vive del proprio lavoro e che certo non ha interesse che le guerre scoppino perché ne pagherà fino in fondo i costi.

Dagli 800 miliardi della Von der Leyden al 5% del vertice Nato

Dapprima l’insana decisione dell’UE di spendere 800 miliardi di euro per le spese militari, poi la fuga in avanti della Germania con un gigantesco piano di riarmo nazionale (difficile non ricordarsi quanto avvenne dopo il 1933), infine il Summit Nato dell’Aja che stabilisce la soglia del 5% di spese militari e il successivo Consiglio europeo dei capi di Stato e di Governo, chiamato solo a discutere di come trovare i soldi per questo gigantesco piano militare, hanno un significato ben preciso: siamo entrati in un nuovo territorio e il futuro delle classi lavoratrici si giocherà sulla loro capacità o meno di costruire un movimento abbastanza  potente su scala nazionale ed internazionale europea per far deragliare il treno della guerra.

Già il piano iniziale, passare al 2% voleva dire tagli sociali insopportabil; immaginate cosa significherà il 5%! Rimandiamo al testo prodotto da No Riarm Europe che specifica e quantifica le spaventose ricadute economiche e sociali.

Per questo condividiamo appieno il suo appello quasi disperato dopo la grande manifestazione del 21 giugno: “I paesi Nato accettano di alzare le spese militari al 5% del Pil. Sarà una ecatombe per i diritti sociali, per i servizi pubblici, per l’ambiente e il lavoro! Guerra, riarmo, genocidio, autoritarismo uccidono diritti, vita e futuro.

Solo insieme possiamo farcela, la convergenza prosegue, la mobilitazione è permanente.”

La riunione della Nato ha anche posto fine a due analisi sbagliate ed avventate: la prima circolata negli ultimi anni, riprendeva una affermazione dell’ultimo scolorito epigono del bonapartismo francese che parlava di “morte cerebrale della Nato”, la seconda, più recente, emersa con l’avvento di Trump, proponeva un supposto disinteresse degli USA rispetto alleanza imperialista atlantica.

Cominciamo dalla seconda: e quando mai l’imperialismo americano avrebbe dovuto abbandonare uno strumento già ben organizzato e strutturato, potente con le sue basi e le sue armi, decisivo ancor più in una fase di accelerazione dello scontro imperialista? Il problema di Trump era un altro e molto concreto, quello di ridistribuire agli altri paesi i costi di questa gigantesca struttura politica e militare (vedi l’articolo di Brancaccio), così come sta conducendo un gioco molto duro sui dazi per migliorare l posizione degli USA nel commercio internazionale. Per la Nato sembra esserci riuscito molto bene: Il Capo riaffermato è ancora lui e poi ci sono le diverse marionette e i capomanipoli supini, a partire dal Segretario della Nato Rutte, emerso dai pantani nausebondi della reazione tardo liberista.

Sulla presunta morte della Nato: certo la struttura politica era dormiente in un periodo di transizione dopo la scomparsa dell’Unione sovietica, ma tutte le sue strutture materiali in giro per il mondo erano ben vive e la ripresa della concorrenza capitalista e dalle tensioni geopolitici imperialiste non potevano che riproporla in primo piano, a partire dallo scontro, non più con il vecchio sistema dell’URSS, ma con la nuova Russia imperialista. Quella Federazione Russa, in cui, dopo la grande crisi e lo sfaldamento degli anni ’90, l’ex capo del KGB, Putin, aveva ricentralizzato non solo il potere politico, ma riconsolidato la struttura del capitalismo, ricostruendo con la forza e gli interventi militari, pezzo dopo pezzo, il vecchio impero zarista.

Se per una fase il potenziale scontro tra i diversi imperialismi è stato soprattutto di posizione e frizionale nel 2022 si è prodotto un salto qualitativo con la scelta di Putin di completare l’impero zarista con la sottomissione della Ucraina attraverso l’invasione diretta e  una guerra sanguinosa negando qualsiasi diritto alla indipendenza e alla autodeterminazione di quel popolo. E la Nato è stata ben presente; per questo abbiamo sempre affermato che il confitto in Ucraina aveva due complicate e intrecciate valenze: quella del diritto all’autodeterminazione del popolo ucraino e aggiungiamo, di tutti popoli presenti nella regione, e quella del confronto tra le forze imperialiste.

Oggi poi il riarmo europeo è sempre più concepito da parte della borghesia anche come uno strumento di rilancio economico e di garanzia di nuovi profitti da realizzare sulla pelle delle classi lavoratrici, anche se è una corsa verso l’ignoto. E’ opportuno ricordare che il primo piano Draghi di rilancio dell’UE era soprattutto a carattere economico centrato sulla concorrenza e sull’aumento della produttività; il secondo, quello recente, inserisce una terza e decisiva variante, il riarmo. Non male per l’ex governatore della Banca Europea e strangolatore della Grecia nel 2015.

Le scelte del Consiglio Europeo

In questo quadro oscuro il Consiglio Europeo dei capi di Stato e di governo del 26-27 giugno ha mostrato tutta la vera natura dell’Europa capitalista, registrando le decisioni riarmiste e guerrafondaie dell’Aja e rimandando ancora una volta ogni decisone sull’accordo tra UE e Israele, confermando quindi la complicità diretta dell’Europa nel genocidio compiuto dal governo israeliano. Non ha saputo dire nulla sulla patata bollente dei dazi, un grande problema per tutte le economie europee al di là degli ottimismi della Meloni che pensa si troverà un accordo al 10% con Trump.

Ha dato poi il via a un ennesimo pacchetto di sanzioni alla Russia, ma anche a una nuova stretta sui rimpatri dei migranti, una volata tirata dalla Meloni insieme alla Danimarca e ai Paesi Bassi, a cui si sono uniti altri 11 paesi, tra cui la Germania.

L’agenda verde già era finita da tempo nel dimenticatoio in primo luogo sulla spinta, ma non solo, dei popolari tedeschi. A conferma l’ultima iniziativa, molto contestata non solo dai socialdemocratici, ma anche dai liberali, della Von der Leyden di ritirare la proposta di direttiva per combattere il cosiddetto “greenwashing”.

 E un parola di più sul ruolo dei governanti della Germania va detto perché sembrano ormai in grado di indirizzare la politica della UE al di là della stessa Presidente che pure viene dallo stesso paese. Merz è l’uomo del gigantesco piano di riarmo della Germania ed è anche colui che ha ringraziato Netanyahu per il lavoro sporco che sta facendo in Medio Oriente al servizio di tutto l’occidente. Weber è il capogruppo dei popolari a Bruxelles, l’uomo che da sempre sostiene l’apertura ai gruppi dell’estrema destra della gestione della Commissione e che, negli ultimi tempi, la sta realizzando nei fatti. Questo determina tensioni con il gruppo socialista che pure sostiene la Commissione, ma che è sempre più in imbarazzo spingendo la segretaria del PD ad affermare che l’appoggio del suo partito non è scontato.

Per la cronaca Merz e Weber sono i due politici che Angela Merkel, pur sempre l’artefice delle politiche liberiste europee per 20 anni, aveva sempre tenuto a distanza.

Il premier socialista Sanchez è rimasto totalmente isolato anche solo nel porre alcuni interrogativi parziali su cosa tagliare per finanziare il riarmo, sostenendo che la Spagna non potrà arrivare a quelle percentuali.

L’epigona della Roma imperiale

Qualcosa va detto sul governo italiano e sull’oscura figura che lo presiede. Per Meloni che aveva puntato le sue carte su Trump non è facile navigare in una situazione in cui il Presidente USA nei suoi giochi di potere risulta ogni giorno destabilizzante non potendo certo distaccarsi completamente dal resto della UE. Di certo le preoccupazioni per l’entità delle spese militari richieste non possono che preoccupare il ministro dell’economia Giorgetti, anche Meloni crede di poter utilizzare alcune clausole presenti nell’accordo Nato per dilatare nel tempo i tagli più violenti. I margini sono pochi.  In ogni caso non ha avuto problemi a sposare e a difendere in Parlamento con gli argomenti più stantii di sempre dei guerrafondai, la causa del 5%. Ha affermato senza alcuna vergogna, anzi traendone vanto, che lei la pensa come i romani antichi. “Se vuoi la pace devi preparare la guerra”. Nulla di strano perché il suo percorso politico ed ideologico e l’ammirazione per i fori imperiali la inducano a questa affermazione. Resta il fatto storico concreto che questo slogan ha portato il governo imperiale di Roma per secoli a passare da una guerra all’altra senza alcuna interruzione e al continuo massacro dei popoli. Dovrebbe ricordarsi che sono stati proprio i romani a stroncare nel sangue la ribellione della Giudea, a distruggere il tempio di Gerusalemme e a provocare la diaspora ebraica; per non parlare di quanto ha fatto Cesare in Gallia, un vero genocidio (un milione e 200.000 uccisi e un milione di deportati), o Agricola in Britannia che ha spinto Tacito a scrivere “Hanno fatto un deserto e l’hanno chiamata pace”.

Non male come punti di riferimento. Per altro l’Italia del governo delle destre resta il terzo fornitore di armi a Israele nel suo massacro dei palestinesi.

Più che mai convergenza e lotta unitaria

Per questo non possiamo che esprimere ancora la nostra partecipazione al movimento No Riarm Europe sostenendone gli obiettivi politici e di mobilitazione perché le forze capitaliste vanno fermate prima che sia troppo tardi.

Si deve costruire il movimento contro la guerra nelle forme più ampie possibili, ma anche è necessario che tutti coloro che si sono mobilitati in questi mesi sui diversi temi sociali e politici (contro il decreto della paura, contro il genocidio a Gaza, a sostegno dei quesiti referendari, contro la precarietà e per l’inclusione, per i contratti di lavoro, abbiano sempre più la consapevolezza che occorre radicare queste mobilitazioni, convergere negli obbiettivi ed anche individuare un progetto comune di lotta. Dovrà esserci in autunno una grande capacità di lotta unitaria e convergente per affrontare le scelte sociali e economiche del governo nel varo della finanziaria. Sarà una lotta molto dura.   

La nostra organizzazione farà tutto il possibile per costruire la campagna contro il riarmo e contro la guerra che collochiamo nella battaglia contro tutti gli imperialismi che oggi affliggono il mondo quello della Nato, che unisce l’imperialismo USA e quello europeo (per questo rivendichiamo l’uscita dell’Italia dalla Nato e la chiusura delle sue basi militari nel nostro paese) e contro l’imperialismo neozarista di Putin che nega i diritti della popolazione ucraina, per porre fine al genocidio dei palestinesi. Non abbiamo fiducia che le classi dominanti di altri paesi in ascesa possano sostituirsi alle lotte delle classi popolari e lavoratrici per i loro diritti e bisogni. Anche per questo, per preparare queste battaglie e un impegno politico e sociale invitiamo ancora tutti quelli che ci seguono a venire alla nostra università estiva dove proveremo a darci alcuni strumenti politici e programmatici per lottare contro la barbarie capitalista e la distruzione ambientale.


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