di Fabrizio Burattini

Quanto è accaduto proprio un paio di giorni fa a Kananaskis, nello stato canadese di Alberta, durante il vertice del G7, ci testimonia con chiarezza il totale sbandamento zigzagante delle élite che dominano il mondo.
Donald Trump, che attualmente è l’uomo più potente del mondo, è apparso completamente sconvolto. Ha sbraitato sui diversi cessate il fuoco che auspica ma che non si realizzano da nessuna parte, ha fatto indecenti proposte su un fantasioso “ruolo di pace” che potrebbe essere affidato alla Russia, ha di nuovo manifestato fastidio per la presenza di Zelensky, ha inviato le forze navali statunitensi nel Golfo Persico e ha intimato all’Iran di arrendersi, minacciando di eliminare Khamenei, ma “non per ora”.
Molti commentatori attribuiscono questo comportamento incoerente e granguignolesco (“non so quel che farò, ma lo deciderò al momento opportuno”) a innegabili caratteristiche caratteriali (e mentali) del presidente americano. Ma non si tratta solo di follia.
Il punto è che la classe dominante statunitense, dopo i primi 5 mesi di presidenza MAGA, è sempre più divisa e disorientata. E Trump, che ne dovrebbe rappresentare e coordinare gli interessi, esprime in pieno quel disorientamento.
Il 14 giugno, l’amministrazione Trump ha accusato il colpo inferto dalle straordinarie manifestazioni di massa che hanno visto milioni di americani sfilare in 2.000 città. Così il presidente ha annunciato la sospensione dei raid degli agenti dell’ICE. E poi, qualche ora dopo, ha ordinato di riprenderli.
E poi c’è il Medioriente, dove è sempre più evidente che Netanyahu, nonostante gli espliciti auspici del tedesco Merz (e quelli più silenziosi degli altri leader occidentali) non è del tutto in grado di “fare il lavoro sporco”. La sua Iron Drome ha parecchie falle e, soprattutto, è diventato chiaro che Israele non ha i mezzi per distruggere il programma nucleare iraniano, quale che esso sia, e che ha bisogno della “grande bomba” americana per sfondare i bunker dell’Iran. Senza dimenticare che la continuazione del massacro genocida di Gaza, l’aggravamento dell’offensiva coloniale in Cisgiordania e i raid contro la Siria rendono sempre più aleatoria la fantasia trumpiana di un Medioriente pacificato nel quale poter fare tranquillamente gli affari miliardari che Trump e i suoi supporter prediligono.
Trump detesta le masse americane, così come fanno anche tutti i suoi compari sparsi in tutto il mondo (da Ovest a Est), ma spera che la cosa sia risolta dalle masse iraniane che, secondo lui (e secondo Netanyahu), dovrebbero ribellarsi e rovesciare il regime dei mullah. Ma, paradossalmente, i bombardamenti israeliani, che uccidono centinaia di civili, e rischiano di diffondere radioattività in tutta la regione, vanificano totalmente questo desiderio. Anzi, la situazione di guerra rende ogni giorno più difficile la lotta delle democratiche e dei democratici iraniani e temporaneamente rafforza il regime, consentendo a quest’ultimo di presentare ogni oppositore come “agente del Mossad” e dunque corresponsabile delle bombe che cadono sulle città del paese.
Tutto ciò non ha nulla di rassicurante, anzi.
Potrebbe spingere (anzi sembra che lo stia facendo) Trump a cercare di “risolvere” la questione con un massiccio attacco aereo sull’Iran sia per uscire dalla situazione di stallo sia per riaffermarsi come “uomo forte” che dà concretezza ai suoi ultimatum.
Tutto ciò, nonostante le plateali aperture e le numerose telefonate “amichevoli” di Trump, spinge Putin ad alzare il tiro in Ucraina, con gli attacchi terroristici su Kiev e altre città perpetrati in questi giorni (condannando al definitivo fallimento le chiacchiere “pacifiste” di Trump che doveva far concludere “in 24 ore” la guerra). E soprattutto spinge la Russia a riavvicinarsi sempre più e sempre più indissolubilmente alla Cina.
Non va dimenticato che la Cina è il principale partner economico dell’Iran. Nelle ultime ore il Pakistan, strettamente legato alla Cina anche per la sua diatriba contro l’India, ha sempre più alzato la voce contro l’aggressione israeliana e contro ogni possibile coinvolgimento degli Stati Uniti.
E poi c’è il fronte interno agli Stati Uniti. Nonostante i tentativi di mediazione del vicepresidente JD Vance, il movimento MAGA e i suoi principali esponenti, Steve Bannon, Cutter Carlsson, Marjorie Taylor Greene, in sintonia con la Russia di Putin, si oppongono apertamente a qualunque intervento americano in Iran, che, dicono, sarebbe inviso per la stragrande maggioranza della base trumpiana e che provocherebbe gravissimi squilibri globali.
E’ sempre più difficile prevedere quel che succederà e questo rende tutto ancora più buio.
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