Dopo l’azione di guerra intentata dal governo indiano contro il Pakistan, nel paese si sono realizzate numerose iniziative contro la spirale bellica. A Calcutta, nella giornata di lunedì 12 la manifestazione anti-guerra, indetta da varie organizzazioni, è stata duramente repressa, prima da squadre paramilitari del Bharatiya Janata Party (il partito nazionalista indù del premier Narendra Modi) e poi dalla polizia, con l’arresto di oltre 60 attivisti. La progressiva “fascistizzazione” del partito di governo ha portato alla creazione di forze e di correnti che invocano l’escalation della guerra contro il Pakistan e attaccano chiunque parli di negoziati o di cessate il fuoco. L’organizzazione marxista rivoluzionaria Radical socialist ha emesso il seguente comunicato e chiede a tutte le forze democratiche e di sinistra di unirsi contro questa situazione (Redazione).

Dichiarazione di Radical Socialist (India) sull’operazione Sindoor

Le Forze Armate indiane hanno lanciato l’operazione Sindoor che ha condotto attacchi su ben nove obiettivi in tre città occupate dal Pakistan, nel Kashmir e nel Punjab, mentre un contrattacco da parte del Pakistan, anch’esso da condannare, ha portato alla perdita di vite a Poonch. Tutto questo è uno sviluppo estremamente preoccupante, anche se non del tutto inaspettato. Dopo l’atto terroristico di Pahalgam che merita di essere condannato universalmente e inequivocabilmente, il governo Modi avrebbe dovuto rendere pubbliche e trasparenti le informazioni in suo possesso su chi sono i probabili autori e accettare la richiesta di un’indagine internazionale che coinvolgesse anche il governo pakistano, affinché i colpevoli potessero essere catturati e puniti in nome della giustizia. Un eventuale rifiuto pakistano di cooperare avrebbe rivelato internazionalmente la sua corresponsabilità e avrebbe giustificato azioni diplomatiche dell’India.

Infatti, l’approccio più sensato e quello più dannoso per il governo di Islamabad sarebbe stato proprio quello di tentare di creare un cuneo sempre maggiore tra l’opinione pubblica pakistana e un governo già profondamente impopolare. Invece, tenendo illegalmente in sospeso il Trattato sulle acque del fiume Indo e invitando tutti i cittadini pakistani del paese (eccetto i non musulmani con visti a lungo termine) ad andarsene immediatamente, il governo integralista indù di Modi sta seguendo la strada di avallare le sofferenze economiche collettive del popolo pakistano oltre a sostenere la principio della “colpa collettiva” di tutti i cittadini musulmani pakistani. Ciò non fa che rafforzare lo sciovinismo anti-India in Pakistan e agevola il sostegno popolare all’establishment militare che governa quel paese e cerca di soffocare tutte le voci progressiste e dissidenti all’interno, rendendo così più difficili gli sforzi per andare verso quelle maggiori libertà democratiche desiderate dalla stragrande maggioranza dei suoi cittadini. 

In secondo luogo, questi atti del governo di Nuova Delhi sono stati compiuti anche con l’obiettivo di creare a livello di tutta l’India una frenesia ipernazionalista (è anche qui lo scopo delle esercitazioni militari civiche pannazionali) che può favorire il BJP nelle prossime elezioni in Bihar e più in generale anche oltre. Nel mettere in atto questi assalti oltre confine da parte delle sue Forze Armate ufficiali, Nuova Delhi sta commettendo “atti di guerra” illegali a livello internazionale. Questa è la seconda volta che succede. Questi atti creano il precedente affinché ciò accada ancora e ancora, a un livello militare sempre più alto, sollecitando altri atti terroristici da parte di gruppi (cioè attori non statali), che è fin troppo probabile nonostante le nostre speranze.

Inoltre, dall’inizio dell’era nucleare nel 1945, è solo in Asia meridionale che due potenze nucleari si sono attaccate a vicenda con armi militari convenzionali creando una spaventosamente reale possibilità di escalation e di ritorsione, che può raggiungere il livello di uno scontro nucleare. In India c’è una grande percentuale di persone (sostenuta da organi di informazione di destra molto bellicosi e rumorosi) che invoca il sangue sin dal terribile atto di Pahalgam. Ciò crea le condizioni per un forte sostegno alla guerra sia esternamente con il Pakistan che internamente contro un “nemico immaginario”, vale a dire i musulmani in generale, e quelli del Kashmir in particolare. Pahalgam ha spinto quasi tutti i partiti politici a sostenere il BJP. Grandissima parte dei deputati del Partito del Congresso (il partito di opposizione, ndt), non inaspettatamente, hanno sollecitato un’azione militare. Purtroppo, anche le dichiarazioni rilasciate sia dal Partito comunista (PCI) che dal Partito comunista marxista (PCI-M), dopo il lancio dell’operazione Sindoor, non si sono opposte a tale azione militare. Una situazione simile è nata nel 2019, quando l’India ha aumentato la posta in gioco e ha colpito obiettivi all’interno dei confini del Pakistan sovrano. Allora fortunatamente la situazione non uscì fuori controllo. Ma ora non c’è alcuna garanzia che si riproduca quella situazione e che il Pakistan agisca in modo tale da portare a una situazione in cui sia l’India che il Pakistan possano rivendicare la vittoria e poi lasciare che le cose si sistemino. Se ciò non dovesse accadere, e se percorriamo il sentiero della guerra, ciò significherà solo ulteriori perdite di vite umane su entrambi i lati del confine, e intense sofferenze da parte di coloro che meno vogliono la guerra.

Il movimento Radical Socialist si oppone a questi attacchi militari anche perché tali atti non risolvono la crisi politica di fondo del Kashmir, aggravata dal regime di Modi dal 2019. Condanniamo la propaganda islamofobica di gran parte dei media e delle forze organizzate di destra, e il comportamento colpevole che il governo ha dimostrato su questo fronte. Tali scontri militari, oltre alla perdita di vite innocenti (terrorismo di stato da ciascuna parte), rafforzano gli odi religiosi e politici sia in India che in Pakistan. Faremo di tutto perché i lavoratori e i cittadini di entrambi i paesi si schierino dalla parte della pace e della soluzione politica del conflitto del Kashmir, anziché cercare soluzioni militari.


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