di Jones Owen
Il genocidio di Israele era solo in pausa: per i palestinesi, svegliati lunedì da una feroce ondata di attacchi aerei, la ripresa non è stata meno scioccante. Più di più di 400 persone – molte delle quali bambini – sono state trucidate in poche ore, in un assalto che, secondo quanto riferito, ha ricevuto il “via libera” da parte di Donald Trump. Questo caos è stato rapidamente seguito da ordini di evacuazione – cioè di sfollamento forzato – annunciando la possibilità di nuove operazioni di terra. La scusa di Israele? La pretesa che Hamas non abbia rispettato i termini del cosiddetto cessate il fuoco di gennaio, i cui termini sono stati violati più e più volte da Israele.
Sulla scia degli attacchi, la CNN ha riferito che l’attacco di Israele ha gettato “dubbi sul fragile cessate il fuoco”. L’ [aggettivo] orwelliano non è neanche lontanamente sufficiente a rappresentare tale descrizione. In realtà, non c’è stato alcun “cessate il fuoco”: non se la vostra definizione è cessare di sparare. È stato riferito che un solo israeliano è morto a Gaza durante il “cessate il fuoco”: un contractor ucciso dall’esercito israeliano, che lo ha scambiato per un palestinese. Mentre alcune fonti dicono che 150 palestinesi sono stati uccisi a Gaza durante il “cessate il fuoco” e decine di altri sono stati massacrati in Cisgiordania.
Ecco un esempio di come la violenza israeliana viene assecondata all’infinito e la vita dei palestinesi svuotata di ogni significato. Se anche un solo soldato israeliano fosse stato ucciso da un militante di Hamas, era prevedibile che molti politici e media avrebbero immediatamente dichiarato concluso il cessate il fuoco. Questa stessa narrazione è il motivo per cui siamo portati a credere che la pace abbia prevalso prima del 7 ottobre, anche quando 238 palestinesi – 44 dei quali bambini – erano stati uccisi nei nove mesi precedenti.

Le generazioni future potrebbero chiedersi: “Come è stato possibile appoggiare un crimine così osceno per così tanto tempo?”. Dopotutto, grazie ai telefoni cellulari e a internet, nessun crimine nella storia è stato così ben documentato dalle vittime mentre avveniva. Come hanno fatto per 529 giorni, i sopravvissuti di Gaza pubblicano le prove del loro sterminio sui social media, sperando – invano – che le coscienze vengano pungolate a sufficienza per porre fine al caos genocida. Un bambino morto in una tuta arcobaleno; un padre addolorato che gioca con il codino di sua figlia; intere famiglie coperte da sudari, le loro linee di sangue cancellate dall’anagrafe.
Nessun crimine è stato è stato così sottolineato dagli esperti mentre avveniva. La settimana scorsa, un nuovo rapporto delle Nazioni Unite ha descritto in dettaglio le violenze sessuali e riproduttive di Israele: come l’uccisione di donne incinte, lo stupro di detenuti maschi con oggetti che vanno dalle verdure ai manici di scopa, la distruzione di una clinica di fecondazione assistita con i suoi 4.000 embrioni.
La guerra alla capacità riproduttiva dei palestinesi è stata definita “atto genocida”.
Ci sono esempi illimitati di altri atti di questo tipo. Un rapporto dopo l’altro ha dettagliato la distruzione da parte di Israele di infrastrutture civili – case, ospedali, scuole, università, moschee, chiese; la distruzione dell’83% di tutta la vita vegetale, di oltre l’80% dei terreni agricoli, del 95% del bestiame; la rovina di oltre l’80% delle infrastrutture idriche e sanitarie. Israele ha deliberatamente e sistematicamente reso Gaza inabitabile. Questo è il motivo per cui – da Amnesty International a studiosi come Omer Bartov, professore israelo-americano di fama mondiale di studi sull’Olocausto e sul genocidio – c’è un consenso tra gli specialisti del settore sul fatto che Israele stia commettendo un genocidio.
E nessun crimine è stato così confessato dai suoi autori come è accaduto. Israele ha annunciato un blocco totale di tutti gli aiuti umanitari che entrano a Gaza 17 giorni fa, una violazione incontrovertibile del diritto internazionale. La settimana scorsa, il ministro dell’Ambiente israeliano ha dichiarato che “l’unica soluzione per la Striscia di Gaza è svuotarla dei gazawi”, una delle innumerevoli dichiarazioni di intento criminale e genocida fatte da leader e funzionari israeliani negli ultimi 17 mesi.
Israele non ha fatto alcun tentativo di nascondere la sua convinzione che la popolazione civile ha una colpa collettiva – “bestie umane” che meritano solo “danni” e “inferno”, come ha detto un generale israeliano all’inizio – o la sua intenzione di radere al suolo Gaza. I soldati israeliani hanno postato con gioia i loro crimini online, urlando, applaudendo e cantando mentre facevano esplodere le case dei civili e maltrattavano i detenuti.
Come può un’oscenità così documentata, dimostrata e confessata – un’oscenità facilitata dalle armi e dal sostegno diplomatico dell’Occidente – persistere così a lungo? Nessuno nei circoli politici o dei media occidentali può plausibilmente dire: “Non sapevo cosa stesse realmente stava accadendo”.
In un mondo razionale, i sostenitori di questo abominio sarebbero considerati dei mostri che non possono avere posto nella vita pubblica. Dopotutto, non si può giustificare il genocidio ruandese e aspettarsi qualcosa di diverso dal diventare un paria. Invece sono coloro che si sono opposti alla depravazione di Israele ad essere stati deplorati, censurati, licenziati, e, nel caso del laureato alla Columbia Mahmoud Khalil, arrestati e potenzialmente deportati,
Capovolgendo il mondo, l’attacco più sfacciato e sistematico alla libertà di parola in Occidente dai tempi del maccartismo ha raggiunto il suo obiettivo primario: il silenzio generalizzato su un crimine di proporzioni storiche tra coloro che hanno potere e influenza. Ci sono politici che hanno stigmatizzato inequivocabilmente questo crimine, ma sono emarginati e disciplinati. Ci sono giornalisti popolari che dicono la verità, ma sono pochi. Ci sono celebrità che usano la loro piattaforma per dire la verità, come Gary Lineker, Paloma Faith, Khalid Abdala e Juliet Stevenson – ma sono isolate.
I silenziosi sono spaventati per le loro carriere e i loro guadagni, e non irragionevolmente. Mentre i sopravvissuti di Gaza sono spaventati dalla fame, dalle malattie, dall’essere bruciati vivi e soffocare sotto le macerie. Il silenzio di fronte all’ingiustizia è sempre un peccato; quando il governo facilita un genocidio, è un crimine morale. In ogni atrocità della storia, i silenziosi sono sempre i protagonisti. Se tutti coloro che sanno che si sta commettendo un male terribile parlassero, cosa accadrebbe adesso? I ministri si dimetterebbero dai governi. Giornali e telegiornali non si limiterebbero a parlare delle atrocità di Israele, ma le inquadrerebbero correttamente come crimini atroci, con un ritmo incalzante: che bisogna fare qualcosa di drastico per fermarli. Sarebbe impossibile ignorare le richieste di un embargo sulle armi e di sanzioni contro Israele. Invece di perseguitare e vilipendere coloro che si oppongono al genocidio, ad essere insultati sarebbero i complici del genocidio a essere posti fuori dalla vita pubblica.
Molti di coloro che sono silenziosi si sentono indubbiamente in colpa, ed è giusto che sia così. Con la loro vigliaccheria, hanno svolto un ruolo fondamentale nel normalizzare alcune delle peggiori barbarie del XXI secolo.
Porre fine al silenzio non significa fare la morale e dire quanto si è tristi per la morte dei civili: significa chiamare un crimine per quello che è ed esigere la responsabilità di coloro che lo hanno favorito. Il tempo sta per scadere per la popolazione di Gaza, traumatizzata, mutilata e affamata. Così come il tempo per coloro che vogliono salvare la propria coscienza.
Tratto da: http://www.theguardian.com
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