Oggi pomeriggio alle 17 un gruppo di attivisti di Brescia Anticapitalista (non si capisce perché Bresciaoggi ci definisce “sedicenti”) ha tentato di coprire il busto di Mussolini con un sacco dell’immondizia. Il tutto si è svolto nella più completa tranquillità, senza tensioni e senza quei presunti “mugugni” (per lo meno non udibili da noi, che eravamo presenti) di cui parla Bresciaoggi. Anzi, l’iniziativa è stata all’origine di una civilissima discussione sull’opportunità o meno di esporre il busto del “sücù” (zuccone, testone) in un Museo dedicato al Risorgimento (1796-1870) tra i “sedicenti attivisti” e il personale del museo, che si è comportato in modo estremamente corretto. Come già è apparso sui giornali locali (ed anche in due articoli sul nostro blog) la scelta di esporre il busto di Mussolini era già stata contestata da più parti (anche con lettere ai giornali). Non che ci fosse da parte nostra il sospetto che chi ha curato l’esposizione (almeno quelle persone del comitato che conosciamo personalmente) volesse “riabilitare” il fascismo, ma sicuramente c’è stata una sottovalutazione dell’impatto negativo che la sovraesposizione (dal video ci si rende conto dell’enorme dimensione del busto) del cosiddetto “duce” del fascismo potesse avere sui visitatori più sprovveduti o frettolosi. Già ci sembra discutibile la scelta di dedicare la parte finale della mostra alla sopravvivenza mitologica del Risorgimento nel XX secolo, ma su questo possiamo ammettere che la scelta museale ha, forse, qualche ragione. Quello che non ci convince è, come detto poc’anzi, l’impatto visivo esagerato del (peraltro orribile, ma qui si sa, è un fatto soggettivo) gigantesco busto. Sarebbe stato molto più saggio, dal nostro punto di vista, limitarsi ad una sobria esposizione di qualche libercolo o manifesto di taglio risorgimentale del periodo fascista (sia monarchico che “repubblichino”) che non assorbisse l’attenzione dei visitatori in modo così, permetteteci di dirlo, “pacchiano”. Ma la cosa che ci convince ancor meno è la contestualizzazione, affidata a due pannelli: uno piccolissimo e sinceramente poco significativo, l’altro più grande, posto di fronte al busto, e un po’ più articolato. In nessuno dei due però si percepiscono riferimenti esplicitamente critici al mito risorgimentale vissuto in chiave patriottarda e imperialista (tipico non solo del fascismo, ma di quasi tutta la destra storica e, ahinoi, persino di alcuni settori che facevano riferimento alla tradizione mazziniana e garibaldina). Parlare del “mito” in questione nella prima metà del Novecento senza accennare alla Grande Guerra (narrata da nazionalisti e fascisti come “Quarta” guerra d’indipendenza), al patto di Londra, all’occupazione italiana di terre tedesche (il Sud Tirolo) e slave (la cosiddetta “Venezia Giulia” e Zara), considerate peraltro insufficienti dai voraci appetiti dell’imperialismo italiano (da qui un altro mito, quello della “vittoria mutilata”) è fare un cattivo servizio alla Storia. Soprattutto in periodi come questo, quando gli eredi del regime fascista (più o meno convinti e confessi) che da tempo stanno lavorando sullo scivoloso terreno del revisionismo storico (come ci ricorda ogni 10 febbraio la ricorrenza imposta dal governo di destra quasi vent’anni fa), hanno assunto un ruolo centrale nella politica istituzionale. Ci si dirà che questo discorso esula dalla tematica risorgimentale. Ma allora bisogna decidersi: o esula (e quindi assurdo occuparsi delle mitologie fasciste e nazionaliste pseudo-risorgimentali fuori tempo massimo) o non esula (come sembra di capire dalla decisione presa di installare il “testone” mussoliniano), e quindi bisogna fare il lavoro a 360 gradi, senza privilegiare una lettura che, per voler sembrare “obiettiva” (ma esiste una forma di obiettività nel “fare Storia”, o e più corretto parlare di “onestà intellettuale”?), semplicemente cancella le letture alternative del mito in questione (a partire da quella marxista che, scusateci se è poco, annovera fior fiore di storici nel nostro paese da oltre un secolo a questa parte). E, in una città già piena di simbologie reazionarie e persino fasciste (a partire dall’odonomastica) non si sentiva proprio il bisogno di ritirare fuori dalle polverose e buie cantine, in cui giustamente era stato confinato, il busto del criminale che ha sulla coscienza le vite di centinaia di migliaia di italiani, libici, etiopici, spagnoli, albanesi, francesi, britannici, greci, jugoslavi, sovietici e nordamericani. Noi, che per patria abbiamo il mondo intero, ribadiamo il nostro profondo disprezzo per il “crapù” e i suoi accoliti, di ieri come di oggi.
I “sedicenti attivisti di Brescia Anticapitalista”
È la statua più grossa e in vista del museo, e tanti si fanno selfie affianco alla statua, perché essendo fascisti, la ritengono esaltare Mussolini. È una copia, perché l’originale è stata distrutta a picconate nel ‘45 dove era esposta…
"Mi piace""Mi piace"